Con la sentenza 24 marzo 2021, n. 1338, la Commissione tributaria provinciale di Milano recepisce il più recente orientamento di Cassazione sulla rimborsabilità dei costi fideiussori sostenuti dai contribuenti al fine di ottenere i rimborsi delle eccedenze Iva.

Già l’anno scorso, all’indomani della pubblicazione delle ordinanze nn. 5508 e 5509/2020 della V sez. della Suprema Corte, ci eravamo occupati della questione salutando con favore queste nuove pronunce con cui, finalmente, i giudici di Cassazione riconoscevano effettivamente il diritto dei contribuenti al rimborso  degli oneri fideiussori.

Ebbene, oggi anche la giurisprudenza di merito sembra aver riconosciuto che il contribuente ha un diritto soggettivo “perfetto” a richiedere il rimborso di tali costi, e tale interpretazione risulta essere assolutamente coerente sia con la posizione assunta di recente dalla Cassazione che dalle Istituzioni dell’Unione Europea.

Più nel dettaglio, dall’esame della decisione in commento si evince che la ricorrente, un soggetto non residente assistito dallo studio, aveva in passato richiesto il rimborso per le eccedenze Iva versate e prestato idonee garanzie fideiussorie come richiesto dalla legge. In seguito, quando i rimborsi per le imposte erano stati ottenuti ed erano divenuti definitivi, la società domandava all’Amministrazione Finanziaria il rimborso dei costi sostenuti per le fideiussioni sulla scorta dell’art. 8, c. 4, dello Statuto. A fronte del silenzio-rifiuto “opposto” dall’A.F., ricorreva alla Commissione tributaria provinciale e in tale giudizio si costituiva l’Ufficio che, a sua volta, sosteneva che l’applicabilità dell’art. 8 dello Statuto dovesse essere circoscritta all’ambito di attività di accertamento che nel caso di specie era esclusa in quanto non era stato espletato alcun tipo di controllo sulla spettanza del rimborso e che, pertanto, la richiesta del contribuente per il rimborso dei costi sostenuti per le garanzia era infondata.

I giudici di merito accolgono il ricorso e dispongono il rimborso di tali costi. Nel dispositivo i giudici non si limitano ad esaminare la lettera della disposizione, ma, come si è detto sopra, recepiscono il recente orientamento di Cassazione e richiamano la giurisprudenza della Corte di Giustizia. Particolarmente interessante appare l’interpretazione che essi forniscono dell’art. 8 dello Statuto, dal momento che appare diametralmente opposta rispetto alla posizione assunta dall’Ufficio: “A prescindere dai profili di incostituzionalità che una lettura siffatta comporterebbe […] si osserva infatti che la previsione in esame (in quanto incentrata sulla fase della esecuzione del rimborso delle fideiussioni) non può che ricollegarsi da punto di vista sostanziale alla definitività del diritto al rimborso d’imposta piuttosto che al relativo formale accertamento, atteso che è la predetta definitività a costituire l’elemento presupposto dell’attività di restituzione contemplata dalla norma”.

Inoltre, correttamente i giudici rilevano che non potrebbe essere altrimenti, dal momento che quando i crediti d’imposta risultano essere effettivi e diventano definitivi non sussiste più alcun rischio per l’Erario che giustifichi la presentazione di una garanzia o il suo mancato rimborso, se già versata (sul punto si richiama una pronuncia più risalente della Cassazione, sent. n. 21525/2010). Sotto un altro profilo il collegio rileva che una diversa conclusione si porrebbe immancabilmente in contrasto con i principi euro-unitari che regolano l’imposta sul valore aggiunto (proporzionalità, neutralità, effettività).