La Commissione tributaria provinciale di Genova con sentenza 4 agosto 2020, n. 319, si è pronunciata sul ricorso proposto da una società ricorrente avverso un avviso di accertamento e un provvedimento di irrogazione sanzioni relativo a diritti doganali.

La questione di fatto da cui scaturivano gli atti impositivi riguardava un’importazione di merci “di origine preferenziale” dalla Tunisia per cui l’Agenzia delle Dogane e Monopoli contestava le legittimità del certificato attestante l’origine preferenziale dei prodotti notificando gli atti impositivi e richiedendo chiarimenti alle Autorità tunisine. Con risposta definita “ambigua” dai giudici della Commissione genovese, l’Amministrazione tunisina confermava la autenticità del certificato, ma – al contempo – ne rilevava la scorrettezza dal punto di visto tecnico con riferimento al cumulo bilaterale.

I giudici della Commissione tributaria, dunque, ritengono corretto l’atto impositivo e il presupposto per cui era stato notificato il provvedimento di irrogazione delle sanzioni, sebbene censurino l’entità di queste ultime.

Questo è il punto fondamentale della sentenza in commento. La Commissione tributaria provinciale di Genova, infatti, ritiene che le sanzioni irrogate dall’Ufficio ex art. 303, c. 3, lett. E T.U.L.D. pari al 253% dei diritti accertati siano “chiaramente contrastanti con i principi statuiti dalla Comunità Europea (art. 5 Trattati UE) e con la giurisprudenza della Corte Europea”.

Nella sua decisione la Commissione richiama genericamente i principi sanciti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e un suo stesso, la sentenza 11 luglio 2019, n. 557.

Conclude la Corte ligure disapplicando le sanzioni irrogate e infliggendo contestualmente sanzioni nei minimi edittali sulla scorta dell’art. 303, c. 1, lett. A, T.U.L.D..

Per concludere è doveroso spendere qualche parola in più sui principi statuiti dalla Comunità Europea, in particolare su principio di proporzionalità “per cui la sanzione non deve e non può risultare eccessiva rispetto all’entità della violazione” (CTP GE, 11 luglio 2019, n. 557). Tale principio è stato statuito in numerose pronunce della Corte di Giustizia secondo la quale, tuttavia, “spetta al giudice nazionale valutare se, tenuto conto degli imperativi di repressione e di prevenzione, nonché dell’importo delle imposte di cui trattasi e del livello delle sanzioni effettivamente irrogate, queste ultime non appaiano cosi sproporzionate rispetto alla gravità dell’infrazione da ostacolare le libertà sancite dal Trattato” (p. to 70, sentenza 12 luglio 2001, C- 262/99, Paraskevas). Più di recente, la stessa Corte di Giustizia ha esplicitamente stabilito che, in assenza di regole armonizzate all’interno dell’Unione, nel settore delle sanzioni applicabili in caso di inosservanza delle condizioni previste da un regime istituito sulla scorta del Regolamento n. 952/2013 (cd. “Codice doganale dell’Unione Europea”) “gli Stati membri sono competenti a scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate. Essi sono tuttavia tenuti ad esercitare la loro competenza nel rispetto del diritto dell’Unione e dei suoi principi generali e, di conseguenza, nel rispetto del principio di proporzionalità” (p. to 42, sentenza 4 marzo 2020, C-655/18, Schenker).