Le sentenze “gemelle” n. 13131, 13132, 13133 e 13135 del 16 maggio 2019 (Pres. Di Iasi, rel. Mondini) risolvono, a favore delle società di leasing concedenti, le controversie relative alla soggettività passiva della tassa di circolazione dei veicoli in leasing (cd. “bollo auto”).

L’arresto della Suprema Corte, attesissimo, risolve i numerosi dubbi applicativi della disciplina generati da un  contesto normativo già poco chiaro in principio e successivamente aggravato da interventi legislativi incoerenti e confusi.

All’origine, l’art. 5 del D.L. del 30 dicembre 1982 n.953 individuava il proprietario del veicolo come il soggetto passivo dell’imposta. Sostituito dall’art. 7 della L. del 23 luglio 2009 n. 99, seguiva alla riforma un ingente contenzioso dovuto all’infelice formulazione della norma che dava adito a interpretazioni divergenti.

Il legislatore all’art. 9 bis del D.L. del 19 giugno 2015 n. 78 con intervento interpretativo – “e come tale retroattivo” affermano questi giudici – escludeva la soggettività passiva dei concedenti in modo – pareva – definitivo.

A distanza di un anno, tuttavia, la disposizione era stata abrogata dall’art.10 del D.L. 113/2016 che, al tempo stesso, affermava la soggettività passiva in capo all’utilizzatore dei veicoli, ma con decorrenza solamente dal primo gennaio 2016.

Il contenzioso tra le società di leasing e le Regioni si era quindi “ravvivato” e già s’era registrato un rinvio alla Corte Costituzionale a questo punto superato dall’interpretazione della S.C.

Le sentenze in questione – pur senza far esplicito riferimento alla necessità di dare al D.L. del 2016 un’interpretazione “costituzionalmente orientata” – hanno escluso (per la chiara irragionevolezza) che con “all’abrogazione della legge di interpretazione autentica n.78/2015 si correli l’introduzione per i rapporti sorti fino al 15 giugno 2016 di una regola d’interpretazione opposta”.

Sebbene – va detto – nelle sentenze vi sia un riferimento temporale (15 giugno 2016) non del tutto coerente con l’evoluzione normativa (che vedeva nel 1 gennaio 2016 lo “spartiacque” della disciplina) le pronunce della Suprema Corte offrono, comunque, una soluzione netta della questione che ci si augura sia anche definitiva.