Nelle sentenze Glencore Agricolture (C-189/18) e SC C.F. (C-430/19) i giudici della Corte di Giustizia dell’Unione Europea enunciano una serie di principi di eccezionale rilevanza pratica per quanto concerne l’obbligo di instaurazione – ed i termini –  del contraddittorio che deve precedere l’adozione di provvedimenti amministrativi tributari. Queste due sentenze riguardano contestazioni originate da frodi Iva, ma i principi enunciati possono chiaramente estendersi a fattispecie assai diverse.

La sentenza Glencore tratta il caso di una società nei cui confronti l’Amministrazione finanziaria ungherese aveva ripreso a tassazione l’IVA detratta e comminato sanzioni ritenendo che la società destinataria del provvedimento impositivo sapesse – o avrebbe dovuto sapere – che le operazioni che la stessa aveva concluso con i suoi fornitori si iscrivevano in una frode IVA.

Nella causa SC C.F., invece, i giudici della CGUE sono stati chiamati a pronunciarsi sulle contestazioni mosse dall’amministrazione finanziaria rumena contro la società SC C.F. in merito alla pretesa fittizietà di una serie di operazioni da questa concluse con alcuni fornitori che, a parere dell’Autorità, non avrebbero disposto della capacità tecnica e logistica per fornire i servizi che essi le fatturavano.

In entrambi i casi le Amministrazioni nazionali rifiutavano di mettere a disposizione delle società destinatarie dei provvedimenti impositivi e sanzionatori i relativi fascicoli istruttori. In particolare:

– nel caso Glencore quelli inerenti ai controlli svolti presso i fornitori, in particolare i documenti sui quali si fondavano le constatazioni dell’ufficio (che venivano comunicati solo in parte);

– nel caso SC C.F., invecela documentazione relativa alla Società medesima che richiedeva di avervi accesso poiché lamentava di non essere stata informata, al momento del controllo da parte dell’Autorità, delle modalità con cui l’indagine penale avesse potuto influenzare la verifica fiscale.

In Glencore, ai ptt. 52 e 53 e ss. della sentenza, i giudici della CGUE riconoscono al soggetto passivo un vero e proprio diritto di accesso “preventivo” al fascicolo (ossia prima che la decisione dell’Amministrazione venga adottata) che deve riguardare anche le notizie sui procedimenti amministrativi o penali connessi e avviati nei confronti dei suoi fornitori qualora l’Amministrazione intendesse utilizzarle ai fini del proprio provvedimento (v. le conclusioni alla stessa causa C-189/18 dell’A.G. Bobek che, in proposito, al pt. 59, ha citato la sentenza della Corte EDU 11 dicembre 2008, Mirilashvili c. Russia e l’art. 6 CEDU).

Inoltre, tale accesso alla documentazione deve essere consentito non solo ai documenti sui quali l’Amministrazione finanziaria ha fondato il proprio provvedimento, ma anche a tutti quelli strumentali all’esercizio del diritto della difesa del soggetto passivo medesimo (pt. 54). Pertanto – sostiene la Corte – è inammissibile la prassi per cui un’Amministrazione finanziaria nega a questi l’accesso a tali elementi e semplicemente comunica “sotto forma di sintesi, solo una parte di tali elementi da essa selezionati secondo criteri che le sono propri e sui quali egli non può esercitare alcun controllo” (pt. 58).

Successivamente, nella sentenza SC C.F., la CGUE ha enunciato il principio di diritto per cui il giudice adito è tenuto ad annullare il provvedimento  dell’Amministrazione fondata su informazioni contenute nel fascicolo amministrativo del soggetto passivo nel caso in cui questi non abbia potuto accedervi e qualora constati che, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento amministrativo sarebbe potuto giungere ad un risultato differente (pt. 37).

La sentenza SC C.F. rileva anche sotto un altro profilo, poiché muovendo da un precedente autorevole della stessa Corte di Giustizia (sentenza del 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp, C- 277/14) afferma, in tema di consapevolezza del soggetto passivo della frode IVA (che l’Amministrazione afferma sia) posta in essere dai fornitori, che i principi in ambito IVA devono essere interpretati nel senso che, in presenza di semplici sospetti non suffragati dall’Amministrazione tributaria nazionale quanto all’effettiva realizzazione delle operazioni economiche che hanno portato all’emissione di una fattura fiscale, al soggetto passivo destinatario di questa fattura non possa negarsi il diritto alla detrazione, nemmeno se questi non sia in grado di fornire, oltre alla fattura, ulteriori prove a sostegno dell’effettiva esistenza delle operazioni economiche realizzate (p. 49).

Non resta che aggiungere che questo arresto è del tutto in linea con quanto già affermato dalla giurisprudenza della Corte EDU Bulves AD c. Bulgaria  del 22 aprile 2009 (e ribaditi nella più recente Euromark Metal Doo c. Repubblica di Macedonia del 14 giugno 2018) secondo cui: “se le autorità nazionali, in assenza di qualsiasi indizio di diretto coinvolgimento o consapevolezza di un soggetto nella frode nella circolazione di bene o servizi ai fini IVA, nondimeno lo penalizzino, ancorché egli di per sé sia stato pienamente rispettoso delle norme IVA, per le azioni od omissioni del fornitore, sul quale egli non abbia controllo, né mezzi di monitoraggio dell’attività o strumenti per indirizzarne la condotta, tali autorità nazionali oltrepassano la ragionevolezza e turbano l’equo bilanciamento che va mantenuto tra l’interesse pubblico e le esigenze di protezione del diritto di proprietà” (p. 71 della Sentenza Bulves AD c. Bulgaria e p. 45 della Sentenza Euromark Metal Doo c. Repubblica di Macedonia.