Con la decisione in commento la Corte di Cassazione, sentenza 6 novembre 2020, n. 24872, fornisce una serie di spunti interessanti in merito alle contestazioni per esterovestizione.

Nel caso di specie l’Agenzia contestava l’esterovestizione ad una società sanmarinese ed individuava l’effettiva residenza fiscale presso la sede di una società italiana. L’avviso di accertamento notificato dall’Ufficio era motivato sulla scorta dei seguenti elementi:

– pretesa appartenenza della società sanmarinese al gruppo economico della società italiana, dal momento che presso la sede di quest’ultima i verificatori rinvenivano un prospetto stampato della situazione patrimoniale della società residente all’estero;

– la dipendenza commerciale della società sanmarinese da quella italiana;

– la tempistica sospetta dei pagamenti che sarebbero stati “contemporanei” tra le due società ed un fornitore;

– l’utilizzo continuativo da parte dei dipendenti della società italiana di un’autovettura intestata alla società residente all’estero.

I giudici di merito, sia del primo che del secondo grado di giudizio, hanno disconosciuto la posizione dell’Ufficio con il conseguente annullamento dell’atto impositivo.

In particolare, la Commissione tributaria regionale delle Marche ha escluso che la contribuente fosse residente in Italia sulla scorta di una serie di dati “formali”: sede legale e collocazione geografica (con relativa tenuta della documentazione contabile e svolgimento delle riunioni degli organi sociali) nella Repubblica di San Marino, Stato che – rilevavano i giudici della CTR – è “totalmente circondato da territorio italiano, circostanza comportante che i relativi rapporti commerciali con fornitori e clienti non potevano che identificarsi con soggetti italiani”.

Con la sentenza di secondo grado, dunque, si confermava l’annullamento dell’avviso di accertamento e si rigettava l’appello proposto dall’Ufficio, dal momento che questi – secondo i giudici della Commissione tributaria regionale delle Marche – non aveva fornito la prova concreta dell’effettivo espletamento delle attività di amministrazione e gestione della società con residenza estera in Italia.

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione conferma il decisum dei giudici di merito che avevano ritenuto convincenti le giustificazioni addotte dalla convenuta e recupera un precedente orientamento della stessa Suprema Corte che assimila la nozione di “sede dell’amministrazione” a quella di matrice civilistica di sede effettiva: “la nozione di “sede dell’amministrazione ” , in quanto contrapposta alla “sede legale”, è assimilabile alla ” sede effettiva ” di matrice civilistica, intesa come il luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative, di direzione dell’ente e di convocazione delle assemblee e, quindi, come luogo stabilmente utilizzato per l’accentramento, nei rapporti interni e coi terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente (cass. n. 2869 del 7.2.2013 e, più di recente, n. 15184 del 4.6.2019)”.

Al di là del chiarimento offerto in sentenza rispetto il tema della “sede dell’amministrazione”, è d’uopo rilevare che i giudici di Cassazione si sono astenuti da un confronto “diretto” con le numerose e pronunce – anche di segno opposto – della stessa Suprema Corte sul tema dell’esterovestizione e con i principi stabiliti dalla giurisprudenza euro-unitaria.